Quando una donna come Mateja Gravner decide di staccare lo sguardo dalla finestrella che dà sulla vigna dove svettano i tre cipressi di diversa altezza, e di allontanarsi dalla luce rarefatta di Lenzuolo Bianco per raggiungere l’Umbria selvosa, bisogna sentirsi grati di un simile gesto di amicizia.
Il lavoro di Josko Gravner e di quanto sia fondamentale il suo rivoluzionario contributo nella storia del vino è noto, e non ha bisogno di ulteriori parole; ci vogliono almeno due vite per fare un Josko, per percorrere cioè una strada come quella del vino cosiddetto convenzionale, e trovarsi in età matura a camminare à rebours e creare un vino legato alle origini, senza contaminazioni; un vino di concetto, che costringe chi lo assaggia a rimanere inchiodato al calice.
Se n’è parlato e se ne parla da tempo, lo abbiamo fatto anche noi su Intravino e nelle schede di Intralcio.
C’è un profondo legame tra noi e Mateja, un’amicizia le cui basi -se ce lo concedete- restano nei confini di una sfera privata di cui siamo custodi gelosi.
Un’amicizia che fonde aspetti personali e lavorativi, e che ci permette di ospitare Mateja per una verticale memorabile, da gustare negli iconici bicchieri-coppa georgiani, perché l’unico modo per assaggiare un vino tanto materico è metterci letteralmente le mani dentro.
Ecco dunque le annate in degustazione:
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